A cura della classe 4^H, Liceo “G.Marinelli”
La scelta di un percorso tematico su virtù e fortuna ha avuto origine dalla riflessione sui rapporti dei tre grandi autori della letteratura italiana del Trecento con i classici latini e greci. Tali concetti attraversano le opere di filosofi, poeti e narratori – fra cui gli stessi Dante, Petrarca e Boccaccio – che ne hanno dato nel tempo definizioni e interpretazioni diverse, offrendo l’opportunità di interrogarsi sulla possibilità, o meno, che l’uomo ha di “governare” il proprio destino.
Il percorso Fortuna in Dante e Petrarca nella prima parte analizza i passi del poema dantesco in cui l’autore utilizza tale espressione: essa indica una “intelligenza angelica” (Inferno, canto VII, vv.67-96), “ministra” della volontà di Dio, sebbene gli uomini spesso non possano comprendere i suoi effetti nefasti. Nella seconda parte, si analizzano le opere di Petrarca in cui il poeta concentra la riflessione sul tema, fra cui il De remediis utriusque fortunae, un trattato in cui, attraverso brevi ragionamenti, egli cerca di offrire conforto contro i pericoli che derivano dalla “buona” sorte e i rimedi contro i mali i quella “cattiva”.
Giulia Carrà, Federico Muzzarelli, Alice Rui, Matthew Saccon –
Nel Decameron di Giovanni Boccaccio la fortuna assume connotati laici, caratteristica che permarrà anche in ambito umanistico-rinascimentale. Essa è una forza casuale a cui tutti sono soggetti. Nel Proemio si fa riferimento al “peccato della fortuna” che colpisce le donne che amano, a cui è dedicata l’opera. Si analizzano la novella di Landolfo Rufolo e di Andreuccio da Perugia, in cui si sottolinea l’imprevedibilità della fortuna che può rendere un uomo ricco o sottrargli qualsiasi bene. Boccaccio torna ad affrontare questi temi anche nelle opere meno conosciute come il De casibus, in cui si sintetizza il Contrasto fra Povertà e Fortuna, il Filocolo o l’Elegia di Madonna Fiammetta, in cui la protagonista lamenta la propria sorte che l’ha resa da donna ricca e amata in disgrazia.
Cudini Anna, Dangubić Tea, Florit Giulia, Roncali Polo Chiara –
L’approfondimento sulla Virtù negli autori latini e il mos maiorum, illustra quali sfumature abbia assunto tale concetto in alcuni autori latini, fra cui Virgilio, Cicerone, Seneca. Si analizza il significato del termine “virtù”, dal latino virtus, “insieme delle doti fisiche e morali caratteristiche dell’uomo” ma anche “valore militare”. Emerge poi come il raggiungimento di virtù personali e civili fosse uno dei cardini del sistema del mos maiorum, l’insieme dei valori collettivi che costituiva il fondamento della società romana. Quest’ultimo, con altri valori mutuati dalla cultura greca, definiva l’ideale di humanitas, ovvero ciò che è “proprio dell’uomo”.
Talitha Bertuzzi, Elena Mininni, Alessia Minisini, Annalisa Nin e Sofia Pignolo –
Nel percorso Fortuna negli autori latini e greci si fa riferimento al termine greco tyche, cioè “destino”, e a quello latino fortuna, vocabolo ambivalente che può indicare sia la buona che la cattiva sorte. Si illustra poi il pensiero di filosofi, come Platone e Aristotele, e poeti, come Pindaro, il quale sostiene che solo attraverso la ragione si possa impedire che la vita umana sia soggetta al caso. In ambito latino si fa riferimento a Cesare, il quale attribuisce alla fortuna il piacere per i mutamenti improvvisi, e a Virgilio, il quale con il celebre motto “audaces fortuna iuvat” (“la fortuna favorisce gli audaci”), invita ad essere coraggiosi e osare.
Marco Fadi, Gabriele Ieronutti, Nicolò Palazzo, Federico Pascolini –
L’itinerario tematico Virtù in Dante mostra come tale concetto si sia arricchito di ulteriori significati per influenza del Cristianesimo, che ha distinto virtù teologali e cardinali. Dante usa spesso, infatti, questa parola con significati ereditati dalla tradizione e dalla teologia cristiana. Nel Canto I del Purgatorio, in particolare, l’autore fa riferimento alle “quattro stelle” che brillano nel cielo e rappresentano le quattro virtù cardinali: Prudenza, Fortezza, Temperanza e Giustizia.
Alessandro Corso, Tommaso Marconi, Anita Nutta, Ludovica Zorzi –
Nel Decameron di Boccaccio la virtù si configura principalmente come codice di valori ereditato dal mondo cortese-cavalleresco: cortesia, gentilezza onestà, liberalità. A queste ultime spesso si accompagna l’industria, ovvero la capacità individuale di utilizzare l’intelligenza e l’arguzia per risolvere situazioni di difficoltà, come è evidente nella novella di Chichibio e la gru e in quella di re Agilulfo che vengono, nelle slides, sintetizzate e brevemente analizzate.
Pietro Cuberli, Francesco Genovese, Gabriele Petrazzo, Alberto Ragazzon –